Barghestam è la parola persiana che significa "io ritorno". A partire dalla rivoluzione islamica del 1979, per ragioni politiche e religiose un numero crescente di iraniani lascia il paese. I primi a riparare all’estero sono i più vicini allo Shah, che si considerano minacciati dal nuovo regime. Con l'instaurarsi della Repubblica Islamica di Iran anche i dissidenti e gli oppositori al regime teocratico fuggono all'estero. La repressione sociale ha provocato anche la fuga di cervelli. La situazione precipita quando l’Iraq dichiara guerra all’Iran. Il flusso migratorio verso l'estero non si arresta mai e si impenna di nuovo in occasione dell’arrivo al potere di Mahmoud Ahmadinejad, nel 2005, e ancor di più dopo le proteste che seguono la sua seconda e controversa vittoria elettorale nel 2009: la feroce repressione di regime e la grave crisi economica spingono migliaia di persone a prendere il cammino dell’esilio. Si tratta soprattutto di attivisti, giornalisti, e semplici manifestanti costretti a fuggire, perché considerati oppositori. A margine di questa diaspora, ci sono le storie di una percentuale esigua di iraniani che, dopo aver trascorso alcuni anni all'estero, per vari motivi decidono di tornare. Le storia di Sabà, Rambod e Rahi appartengono al microcosmo di quelli che hanno deciso di ritornare a Tehran. Saba (31). La mamma l'aveva avvertita “se alle prossime elezioni vince Ahmadiejad, tu raggiungi tua sorella”. Era il 2005, allora la sorella maggiore di Sabà si trovava a Roma e in Iran c'erano le elezioni presidenziali. Si sfidavano al ballottaggio Akbar Hashemi Rafsanjani, il pragmatico ayatollah, e Mahmoud Ahmadinejad, l'ultraconservatore sindaco della capitale, che venne eletto. Sabà arriva a Roma nel 2006, a 18 anni. Non aveva nessuna intenzione di lasciare Tehran, ma rimane in Italia per 8 anni. Prova a seguire le orme di suo padre architetto. Si iscrive all'Università La Sapienza di Roma, facoltà di architettura, ma dopo due anni abbandona per mancanza di stimoli. Lei è brava a lavorare con le mani, non con i numeri. Si iscrive all'Accademia di belle Arti e studiando scenografia si rende conto che è nel teatro che vuole lavorare. Non porta a termine gli studi per questioni legate al visto: se avesse finito l'Accademia, per rimanere in Italia avrebbe dovuto chiedere un visto lavorativo, ma non aveva un contratto ed aprire la partita Iva le costava troppo. Nel frattempo a Roma un gruppo di lavoratori dello spettacolo occupa il Teatro Valle e Sabà si avvicina all'occupazione per fare un corso di illuminotecnica. Qui impara il mestiere che svolge tutt'ora, in Iran: la tecnica delle luci. Dopo 8 anni passati a Roma, sceglie di tornare a Tehran. “Io ho scelto di tornare a Tehran. Ero stanca. Non potevo fare quello che piaceva a me, che avevo imparato a Roma al Teatro Valle, e non potevo guadagnare abbastanza per fare una vita normale. Sono tornata anche perchè almeno qui ci sono i miei genitori. Senza lavoro è dura vivere a Roma quindi, mentre riflettevo se tornare o meno, ho cercato di capire la situazione lavorativa a Tehran. Ho scritto su internet “disegno luci” in persiano e mi è comparso solo il nome di un ragazzo. L'ho cercato su facebook e abbiamo iniziato a scriverci. Sono andata a Tehran nel 2013 per incontrarlo e per capire la situazione dopo vari anni che stavo in Italia. Mi ha portato un po' in giro per teatri, mi ha spiegato come funzionava il lavoro lì e mi ha fatto conoscere un po' di persone. Dopo qualche mese ho deciso di provarci e sono tornata a Tehran per restare. Ho iniziato facendo la sua assistente, poi dopo un mese lui è partito per gli Stati Uniti e sono rimasta a continuare il suo lavoro”. Rambod (34). Decise di andare negli Stati Uniti a 26 anni, un po' per studiare Belle Arti, un po' per amore. Dopo 5 anni ha deciso di tornare. In realtà, è successo che la sua domanda di visto come artista venne respinta. Così decise di fare appello e di non usare nessuna delle altre opzioni che il suo avvocato gli aveva proposto: chiedere asilo, sposare una donna americana, dichiararsi gay, convertirsi al cristianesimo. Prima di ricevere il responso decise di tornare in Iran per mettere fine a quella vita precaria fatta di tensioni e decisioni prese da altri. A Teheran dirige uno studio di graphic design e nonostante le sanzioni ha molto lavoro. E' felice di come siano andate le cose. Tante le sue vicissitudini all'estero che Rambod commenta così la sua esperienza: "per me l'idea di vivere in Occidente è morta". Rahi (36). Aveva 21 anni quando andò a studiare all'Università di Musica e Arte di Vienna. Non ha mai pensato di lasciare l'Iran. “Come compositore realizzo musica contemporanea, musica per il mondo. Questo significa chiedersi come tradurre la propria cultura e il proprio Paese con una lingua comprensibile a tutti. Qui in Tehrean per comporre la mia musica non ho bisogno di altro che di vivere la mia vita. La melodia mi viene in mente se sono sull'autobus, se cammino per strada, se sono solo a casa”. Dopo 6 anni, terminato il corso di studi, Rahi tornò a Tehran.